Piera e Rita. La nostra storia
a cura di Mary TROIANO, curatrice editoriale del libro LA TAZZINA DELLA LEGALITA' _ Giacovelli Editore

Tratto dal libro LA TAZZINA DELLA LEGALITA'

La mia storia inizia a Partanna, in provincia di Trapani, in un ambiente permeato dalla cultura mafiosa. All'età di 14 anni conobbi Nicolò Atria (detto Nicola) e divenni cognata di Rita, l'indimenticabile ragazza che si suicidò dopo l'attentato a Paolo Borsellino.
Eravamo due ragazze di paese e vivevamo serenamente, fino a quando io incontrai il fratello di Rita, Nicola, figlio di Don Vito Atria, piccolo boss di paese, uomo rispettato e temuto nello stesso tempo. Entrando in quella famiglia, dopo qualche anno, capii che era molto diversa dalla mia. Era una famiglia mafiosa, e questo provocava grandi tensioni nei nostri rapporti. Tentai in tutti i modi di allontanarmi da loro, ma sono stata costretta a sposare Nicola, perché minacciata da mio suocero. L'unica nota positiva è stata conoscere la sua sorellina Rita, che all'epoca aveva solo sei anni. Il nostro legame divenne molto forte, ma osteggiato da sua madre, che cercava in tutti i modi di tenerci distanti. Nel 1985 sposai Nicola, ma il nostro matrimonio era stato voluto e deciso da mio suocero, non da mio marito… Poi, nove giorni dopo il matrimonio, don Vito Atria, venne assassinato. Cercai in ogni modo di convincere mio marito ad evitare di vendicare la morte di suo padre, ma non ci fu nulla da fare. Nicola girava armato e si occupava dello spaccio di droga. Quando provavo a dirgli di smettere con questa vita lui mi picchiava e sei anni dopo, il 24 giugno 1991, mio marito venne ucciso davanti ai miei occhi. Non dimenticherò più il puzzo della polvere da sparo e quegli uomini incappucciati; li riconobbi e decisi che tutto ciò doveva finire, perché in quegli anni nella valle del Belice c'era la mattanza, morti ammazzati in ogni dove, orfani, vedove mute e complici, perché l'omertà rende complici. Iniziai a collaborare, unitamente alla sorella di mio marito, Rita Atria, con la polizia e la magistratura, in particolare con il giudice Paolo Borsellino. E così arrivò la svolta: diventammo testimoni di giustizia. Anche Rita voleva denunciare, anche lei non riusciva a vivere più in quel mondo dove l'unica legge era la violenza, un mondo fatto di sangue, lacrime, vendette….. Il 31 luglio del 1991 entrai a far parte del programma di protezione e così ci siamo ritrovate a Roma, lontane dalle nostre famiglie, dagli amici e dagli affetti. Eravamo solo due ragazze, io 24 anni e lei 17. Con noi c'era anche mia figlia di 3 anni ed avevamo una rabbia immensa nel cuore.
Poi arrivarono gli attentati del 1992, prima Giovanni Falcone e dopo Paolo Borsellino, il nostro giudice. Dopo una settimana Rita decise di farla finita. Non poteva più andare avanti. Lo zio Paolo, così lo chiamavamo, non c'era più. Avevamo perso un amico, un padre, un fratello maggiore; la vita ingiusta ci aveva private della luce! Rimasi sola, ed allora mi sono fatta forza per la mia bambina. Dovevo sopravvivere per lei. Mi misi a studiare e mi diplomai, perché lo avevo promesso a Zio Paolo. Ho vissuto per ben 27 anni con un'altra identità ed in tutti questi anni ho girato per l'Italia e all'estero parlando con i giovani, incontrando più di diecimila ragazzi ogni anno. Parlo della nostra storia, parlo delle vittime di mafia, di chi ha dato la vita per la verità e la giustizia. Chilometri su chilometri, giorno dopo giorno, senza sosta ancora oggi.
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